Regole per scrivere un libro – 6: raccontami una storia
Ricordi tutti i “temini” scritti alle elementari? Ricordi la faticosa teoria di frasi con cui, una dopo l’altra, documentare tutto ciò che si era fatto?
Mi sono alzata… Ho fatto colazione… Sono andata a scuola… Mi sono seduta al banco… Ho pranzato…
E poi, e poi, e poi…
Il tutto in ordine cronologico, compilando una lista di eventi come per una testimonianza in tribunale.
Ho esagerato un po’, certo, ma questo non è raccontare, è enunciare fatti. Senza emozioni, senza suspense, senza coinvolgimento. Senza dare al lettore la possibilità di esperire niente di ciò che stava succedendo.
Quando chiediamo a qualcuno di raccontarci una storia, non è questo che abbiamo in mente. Quello che chiediamo è: dimmi qualcosa che mi coinvolga, che mi affascini, che mi intrattenga.
Qualcosa che catturi il mio interesse, che mi appassioni e che suoni autentico. Forse dovremmo dire mostrami una storia – perché è questo che intendiamo.
Quello che segue è il primo paragrafo del nuovo romanzo di Margaret Atwood, The Heart Goes Last, e potrei aver scelto molti altri passi di molti altri autori. Ma questo è il romanzo che sto leggendo adesso, e Margaret Atwood è una delle mie scrittrici preferite in assoluto.
Eccolo:
Dormire in macchina è scomodo. E una Honda di terza mano non è certo un palazzo. Se almeno fosse un furgone ci sarebbe più spazio, ma non possono permetterselo, non potevano permetterselo neanche quando pensavano ancora di avere soldi. Stan dice che già sono fortunati ad avere almeno la macchina: il che è vero, ma non rende certo la macchina più grande.
È come essere stati catapultati nel bel mezzo della vita di qualcun altro, ritrovandosi improvvisamente sul sedile di quella Honda. Noi – noi lettori – esperiamo la scena per noi stessi, la nostra curiosità viene stimolata.
In primo luogo, chi sono i ‘loro’ che stanno dormendo in macchina? Immediatamente sentiamo la povertà, il sapore della disperazione di Stan e di chiunque stia parlando a proposito dell’essere ‘fortunati’.
Il paragrafo si dipana come un film.
Chi scrive, probabilmente, ha un’immagine definita di Stan: ma non importa. Importa invece che io abbia la mia personale immagine di Stan, (magari molto diversa da quella dell’autrice), dell’auto, le ridotte circostanze della sua vita, perché questo è ciò che il paragrafo mi mostra.
E soffermiamoci un attimo proprio sulla parola mostrare. Significa rendere visibile qualcosa; rispetto al nostro ragionamento, rendere visibile qualcosa usando le parole.
Non significa assolutamente cominciare a disseminare ovunque avverbi e aggettivi, ma invece scegliere con attenzione le parole ed essere specifici.
Dettagli come ‘Honda di terza mano’ danno una immagine ben più vivida di ‘auto’ ; anche se non sai come sia quella Honda, ricevi comunque un’immagine.
Il dire ha il suo spazio: talvolta si ha bisogno di frasi semplici, immediate, come ‘versò il caffè’, perché è così che si fa proseguire la storia.
Ma, in termini di coinvolgimento del lettore, pensa ai migliori film che hai visto: pensa a come la storia si dipana in tutta la sua potenza visuale. Gli scrittori hanno bisogno di catturare quel colore, quella energia, e ricrearla nella testa del lettore.
Concluderò citando un altro paragrafo di apertura, quello di Anthony Doerr per All the Light We Cannot See (Tutta la luce che non vediamo), il romanzo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale che ha vinto il Pulitzer – Fiction nel 2015.
Piovono giù dal cielo al tramonto. Soffiano tra i bastioni, ruzzolano sui tetti, svolazzano tra le case. Intere strade sono riempite dal loro turbinio, lampi bianchi contro l’acciottolato. Messaggio urgente per gli abitanti di questa città, dicono. Lasciarla subito per l’aperta campagna.
E adesso vai avanti, mostrando la tua storia.
Fatemi sapere che cosa ne pensate – il vostro feedback è ben accetto!
Catherine
Foto: Noel Hillis
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CONTATTO: catherine@catherinedunneauthor.com
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